Il cancinculo


La bella pubblicità Peugeot 2022 mi porta a ripostare questa riflessione.

Sarà l’età. Sarà l’ansia da pensione. Sarà che il presente non aiuta. Ma mi ritrovo sempre più spesso avvoltolato nei ricordi. Come qualche giorno fa quando, ad una sagra di paese, ho rivisto il calcinculo.

Da noi, la sagra arrivava il due agosto. E per diversi giorni il paese si vestiva di rumori e di allegria: giostre, bancarelle, bandierine colorate fra i balconi, nuvole di ragazzi, qualche turista, la processione, la banda, la corsa nei sacchi, la cuccagna e qualche concertino nella piazzetta antica.

Erano le estati della nostra adolescenza, quando ci tuffavamo nella vita con rabbia e strafottenza. E i capelli lunghi, le camicie a fiori, gli stivaletti americani. Quando, con una birra in mano ed una paglia, ci sentivamo pronti ad ogni sfida.

Adoravo il calcinculo. Quando i giostrai arrivavano nel mio villaggio, io lavoravo per loro per avere biglietti gratis. Mi piaceva da morire volare nel sole, sperimentare volteggi, prendere slanci al limite del possibile, calciare a due piedi la seggiola di fronte per spedire in cielo l’amica di turno.

Ricordo la prima volta con Laura. La leva del giostraio che si abbassa, la giostra che comincia a girare. E girare. Lenta. Lenta. Poi veloce. Veloce. Veloce. Le catene che si tendono nell’aria, verso il vuoto, e le montagne lontane, e il lago giù in fondo, e l’estate infinita dei nostri quindicianni.

Stracci di nuvole corrono sopra i nostri sogni fugaci. Sopra i nostri desideri impudichi. Sopra il tutto. E sopra il nulla. Mentre la giostra corre più in fretta. E più in alto. E allora giro il suo seggiolino verso di me.

Sei pronta? le sussurro. Lei stringe gli occhi, e fa sì con la testa. E allora stringo forte le catene, e comincio a farle oscillare, fino a prendere il massimo slancio. Poi appoggio i piedi al suo seggiolino, e con tutta la forza della mia straripante giovinezza la faccio volare ancora più in alto. Lei urla di gioia mentre sfiora di un nulla il fiocco appeso all’ultimo gancio. E urla ancora di gioia bambina mentre precipita verso di me. E io, l’afferro al volo, e lascio che le nostre catene s’attorciglino con violenza, fino a stringerci in un abbraccio. Uno di fronte all’altro. Nel vuoto. Nel cielo. Nel tramonto. Con i capelli che si sfiorano. E gli occhi che si sfiorano. E le labbra che si sfiorano.

Ma anche l’infinito ha una fine. La giostra rallenta, si ferma, tocchiamo la terra con i piedi. E…

Ma il mio ricordo si ferma qui. Perché in fondo, quella stagione antica si risolve tutta nel soffio di quel volo. Nel groviglio di libere catene che dipingono nel cielo d’estate un’eterna attesa d’amore.


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